– Potresti almeno evitare questo linguaggio da caserma.
Massimo Aliotti apre la bocca per replicare, ma uno sguardo supplichevole della moglie lo blocca. Bofonchia qualche cosa e tace, mentre la rabbia per l’osservazione del figlio lascia il posto alla frustrazione.
Che cosa ha detto? Che cosa cazzo ha detto perché suo figlio lo debba rimproverare per il linguaggio che usa? Sarà libero di usare il cazzo di linguaggio che vuole in quella fottuta casa in cui dovrebbe essere, se non altro perché porta lo stipendio, il padrone? Una volta, quando lui era giovane, erano i genitori a rimproverare i figli perché si permettevano di usare certe parole (come se anche loro non le usassero, quando i figli non sentivano!). Anche lui ha cercato di insegnare ai ragazzi a moderare un po’ il linguaggio, senza ottenere grandi risultati. Ma con Enrico no, Enrico è un’altra cosa. Enrico lo rimprovera se lui si lascia sfuggire un’espressione come quella che ha usato: “Ha proprio avuto culo”. Ma come si può definire “espressione da caserma” una frase di quel genere? Enrico è proprio…
Enrico è un problema, di cui il signor Aliotti non riesce a venire a capo. Il suo quarto e ultimo figlio, un bel ragazzo, sano come un pesce, forte, intelligente, bravo, a un passo dalla laurea. Che cosa si può pretendere di più? Il signor Aliotti sospira.
A lui basterebbe che Enrico tornasse quello di due anni prima, un ragazzo normale, forse più chiuso, meno solare di quando aveva quindici anni, ma senza problemi. Eppure sua moglie dice che sono diversi anni che c’è qualche cosa che non va. Enrico ha pochi amici, lui che è sempre stato così socievole. Enrico non fa più nessuno sport di squadra, lui che era il capitano della squadra di pallanuoto. Enrico è diventato di un pudore assurdo, manco fosse una vergine di un romanzo ottocentesco, non si può parlare di sesso, non si può neanche dire “Ha avuto culo” o “Alle regionali l’hanno trombato” o… Il signor Aliotti ci rinuncia. L’elenco delle espressioni che non si possono usare riempirebbe l’enciclopedia.
Enrico si alza e saluta. Dà un bacio a sua madre, poi si rivolge a lui. Gli sorride e gli chiede scusa per la sua reazione. Il signor Aliotti vorrebbe saltargli al collo e abbracciarlo. O forse strozzarlo, non lo sa neanche lui. Enrico prende le sue cose ed esce per la gara. E il signor Aliotti si sente uno straccio.
– Non te la prendere, Massimo, gli passerà.
Massimo Aliotti guarda la moglie e sa che neanche lei lo crede, ma hanno bisogno tutti e due di dirsi che passerà, che Enrico ritornerà quel ragazzo felice e dolcissimo che è sempre stato il loro orgoglio.
Emma Aliotti si alza per sparecchiare e con la scusa di buttare l’immondizia lancia un ultimo sguardo a Enrico, che in cortile sale sull’auto e parte. Emma ha sempre paura, quando Enrico va via in auto. Non perché Enrico guidi come un pazzo, Enrico ha la testa a posto, Enrico non beve, Enrico non si fa, Enrico non fuma neppure, Enrico è attento e prudente. Ma Enrico è una pentola a pressione con la valvola bloccata ed Emma ha paura, una paura dannata che quella pentola, sempre più sotto pressione, scoppi. E Dio solo sa che cosa succederà a Enrico, allora.
Enrico non si sente una pentola a pressione. La sua sensazione è diversa: quella di un’inondazione che sale, contro cui lui deve costruire argini sempre più alti. È una fatica improba, perché il livello dell’acqua cresce senza interruzione ed Enrico non può distrarsi un attimo. Deve continuamente puntellare gli argini ed alzarli.
Prima erano le immagini forti trovate su internet a scatenare in lui reazioni violente, di cui aveva paura. Poi, quando aveva smesso di cercare quelle immagini, spaventato da quello che provava, si era accorto che bastava molto di meno a farlo andare in tilt: era sufficiente il corpo nudo di un compagno sotto la doccia. E poi, quando aveva incominciato a evitare spogliatoi e palestre, aveva scoperto che ormai bastava un discorso, no una frase, una parola, qualunque riferimento, anche velato, al sesso, per scatenare una ridda di immagini e pensieri che non riusciva a sopportare.
Ora Enrico non è in grado di reggere più nulla e continua ad alzare argini, ben sapendo che prima o poi si aprirà una falla.
Ma da qualche tempo, da pochi mesi forse, ha capito che l’acqua non è solo su un lato dell’argine, ma anche dall’altro. L’argine non difende più niente, solo se stesso. Ed Enrico sa che quell’argine è sempre più fragile. Ma se l’argine crollerà, lui affogherà, in quella distesa immensa di acque torbide e troppo profonde. Sa di non saper nuotare, lui che ha partecipato ai regionali di nuoto, quattro anni fa. In quelle acque, lui non sa nuotare.Enrico cerca di distrarsi, di pensare ad altro. La gara di orienteering che lo aspetta è impegnativa. Un percorso lungo, in una zona piuttosto impervia. Una gara riservata ad atleti esperti.
A Enrico piace l’orienteering. Camminare in mezzo a prati e boschi, alla ricerca delle lanterne: la testa è occupata e il corpo si gode la pace della natura senza che l’ozio del cervello faccia emergere i mostri sepolti. Enrico è diventato molto bravo, ha vinto già due gare importanti nei mesi scorsi. Questa potrebbe essere la terza.
La gara è iniziata da neppure un’ora ed Enrico sa benissimo che non la vincerà. Non che sia un problema, non è così competitivo. Quello che gli brucia è aver sbagliato in modo così stupido, finendo del tutto fuori percorso, e, più ancora, aver cercato di recuperare senza tornare indietro, tagliando attraverso quel bosco troppo fitto. Due errori, uno peggio dell’altro. E, peggio di tutto, non essersi accorto di niente, non aver sospettato di essersi tenuto troppo in basso, fino al momento in cui è arrivato al laghetto. Il laghetto che doveva essere molto più a est.
Bene, ha fatto una bella sciocchezza e ora non gli resta che tornare indietro e riprendere da capo il percorso, tanto per vedere com’è, oppure rinunciare completamente. Fa ancora due passi in direzione del laghetto, un piccolo turchese incastonato nel bosco. La luce del sole che gioca sulla superficie, appena increspata, qualche uccellino che canta, quel posto è un piccolo paradiso. Forse valeva la pena di finire fuori percorso, di perdere la gara, di smarrirsi.
Lo sente in quel momento, vicinissimo, tanto vicino da farlo sobbalzare: una specie di grosso grugnito, potrebbe essere un cinghiale, ma non lo è. È, semplicemente, un enorme rutto. Enrico si volta in direzione del maiale che ha ruttato in quel modo e lo vede.
Non può non vederlo, è a due metri da lui. È seduto, la schiena contro un albero, le gambe allargate. Non può non vederlo, non vedere che è un uomo massiccio, un po’ pelato, con una barba nera, capelli neri, peli neri. Peli neri dappertutto, non può non vederli benissimo, perché l’uomo è nudo, completamente nudo. Ed ha peli ovunque, salvo su quel grosso bastone che gli batte contro il ventre.
Enrico vorrebbe non essersi voltato. Enrico vorrebbe scappare, scapperebbe, battendo il primato nazionale dei 100 metri, se quel bastone non gli sbarrasse la strada. Non che quel bastone si occupi di lui, se ne sta lì, teso, stuzzicato da una mano vigorosa, anch’essa pelosa, che quando Enrico si è voltato ha smesso per un attimo di accarezzarlo, ma poi ha ripreso. Quel bastone però è troppo grosso, troppo teso e quel corpo troppo scuro di peli, quelle braccia troppo robuste, per permettergli di scappare.
Ed Enrico sente che il suo argine si sbriciola sotto i suoi piedi e dice, grida, con una voce stridula che non si conosce:
– Lei è proprio un porco!
L’uomo ride, una risata grassa, che gli scuote la pancia prominente, una risata che è il boato della dinamite, che fa saltare l’argine pezzo dopo pezzo.
– Sì e non mi dispiace per niente. Ma tu mi sembri un cagacazzo.
Enrico si sente soffocare dall’indignazione. Quell’uomo è un porco, uno schifosissimo porco. Lui deve andarsene. Ma come può andarsene, con quel bastone che gli sbarra la strada? E poi il bastone non è solo, sotto ci sono due grossi sassi pelosi, su cui inciamperebbe.
Enrico cerca di dire qualche cosa, ma gli viene fuori un altro, risibile:
– Porco!
– Senti, rompicoglioni, se il mio cazzo non ti piace, puoi toglierti dalle palle ed andare a farti una sega da un’altra parte. Non ti ci ho mica chiamato io, qua.
Ogni parola proibita è una voragine che si apre nell’argine. Quale argine? Non è rimasto più nulla, ormai, forse solo un pezzo di terra, su cui è quasi impossibile stare in piedi, ma Enrico sa benissimo che presto crollerà anche quello.
Enrico non riesce a dire più nulla, proprio più nulla.
– E piantala di guardarmi come se non avessi mai visto un cazzo duro in vita tua. Sei proprio un cagacazzo!
L’argine è crollato ed Enrico precipita. Cade a terra, in ginocchio, esattamente ai piedi dell’uomo che adesso lo guarda preoccupato, si alza e si avvicina a lui, lo prende tra le braccia per impedirgli di crollare.
– Stai male, ragazzo? Che hai?
Enrico non sarebbe riuscito a parlare neanche prima, prima che quelle braccia pelose e calde lo stringessero, che quelle mani forti e calde lo toccassero, che quella faccia scura di peli fosse a una spanna dalla sua, che quegli occhi azzurri si fissassero sui suoi, che quella voce, divertita, ironica, ostile, divenisse anch’essa calda. E ora, ora che quelle braccia lo avvolgono, quelle mani premono sulla sua pelle, quella faccia si protende verso di lui, quegli occhi lo sommergono, quella voce continua a risuonare dentro di lui, ora Enrico sa di aver perso la parola, di non aver mai avuto l’uso della parola, di non sapere che esistono le parole. E gli occhi di Enrico, ed Enrico vorrebbe morire tre volte per impedirselo, ma non riesce, né a impedirselo, né a morire, gli occhi di Enrico scendono di nuovo verso il bastone, che è rimasto nella sua posizione, forse leggermente meno teso, ma maledettamente più vicino, tanto vicino che basterebbe allungare una mano, per sentirne la consistenza, il calore, per carezzarne la superficie.Enrico vorrebbe morire, perché sa che l’uomo ha seguito il suo sguardo e ne sente di nuovo la risata, che ora gli risuona nelle orecchie.
– Beh, forse non sei un cagacazzo, ma un succhiacazzi. A me va bene.
L’indignazione soffoca Enrico. Come osa, quel porco, pensare che lui… L’indignazione? Vorrebbe crederlo, Enrico, ma non ci crede neanche lui. La bocca è secca, non c’è un filo di saliva. Riesce, con uno sforzo immane, a distogliere lo sguardo dal serpente che lo affascina e i suoi occhi incontrano di nuovo gli occhi dell’uomo. Ha gli occhi di un azzurro intensissimo e quell’azzurro è l’acqua dell’onda che sale, sale, travolge quel che rimane dell’argine, quale argine? C’è mai stato un argine? No, c’è solo una distesa d’’acqua infinita e un vortice che risucchia Enrico verso il fondo. Perché Enrico non sa nuotare.
Le mani dell’uomo sono sulle sue guance, ora, Enrico non sa se per trascinarlo a fondo o per salvarlo. La voce dell’uomo è di nuovo sollecita, calda, avvolgente, mentre gli dice:
– Tranquillo, ragazzo. Non devi aver paura. Non succede nulla, se non lo vuoi.
E poi le mani lo prendono, lo avvolgono, lo accompagnano ed Enrico sente la sua testa contro il petto dell’uomo e sa che quelle mani lo stanno tirando a fondo e lo stanno salvando. Il calore di quel torace è quasi intollerabile, la carezza dei peli è una stretta che lo soffoca, la pressione, delicata, della mano appoggiata sulla sua spalla, che tiene il suo corpo contro quel torace possente, è una pressa. Enrico sta piangendo e le mani dell’uomo lo accarezzano.
Enrico non sa quanto tempo è passato. Gli sembra quasi di aver dormito o di essere svenuto. Alza la testa e fissa l’uomo, che a tradimento lo afferra per la nuca e gli preme le labbra contro le sue. Enrico chiude gli occhi, perché la sensazione è troppo forte, non può vedere, non riesce nemmeno a far stare dentro di sé tutto ciò che sta spingendo per uscire.
E qualche cosa di caldo e umido preme tra le sue labbra, si apre la strada a forza, accarezza i denti e, mentre la bocca di Enrico si apre per lo stupore, l’inatteso ospite entra in casa e si installa. Enrico non riesce a respirare, Enrico ha smesso di respirare da tempo. È necessario respirare? No, è del tutto superfluo.Quando infine la lingua si ritira, Enrico tira indietro la testa e fissa la faccia dell’uomo che lo ha baciato. Il primo uomo che lo ha baciato. Lo guarda, frastornato. Ha le labbra un po’ spesse, carnose, un barbone nero, non lungo, ma fitto, e occhi allegri, occhi dolci, occhi sorridenti, sotto sopracciglia spesse e nere.
Enrico vorrebbe dirgli che già gli sembra di amarlo, ma si vergogna. Vorrebbe dirgli grazie, ma si vergogna. Vorrebbe dirgli: – Ancora!-, ma si vergogna. Enrico sorride e gli dice tutto il suo amore, infinito, tutta la sua gratitudine, per quegli interminabili secondi che è durato il loro bacio:
– Sei un porco.
L’uomo sorride, perché ha capito benissimo. Poi risponde:
– Sì, sono proprio un porco e mi piace da pazzi fare ogni tipo di porcata. E mi sa che anche tu hai un buon talento da porco. Anche se ti manca l’esperienza. Ma quella si fa in fretta, se c’è la buona volontà.
Enrico ha tutta la buona volontà di questo mondo e l’esprime con un sorriso, dicendo:
– Sei proprio un porco!
L’uomo lo accarezza, con quella mano grossa e delicata, che adesso appena gli sfiora la pelle, ma di colpo preme ruvida sulla guancia, poi gli afferra la nuca e di nuovo porta le loro bocche a incontrarsi.
E d’improvviso Enrico ha paura, paura di affogare. Sfugge alla stretta e si alza. Si alza per correre via, lontano da quell’uomo, deve fuggire via, senza voltarsi indietro. Ma lo guarda, guarda l’espressione un po’ stupita del suo viso, guarda il bastone sempre teso. E sa che non può andarsene. L’uomo si mette in ginocchio davanti a lui. Alza le braccia e gli sbottona la camicia. Poi le sue mani si infilano sotto e incominciano a percorrere il petto glabro di Enrico, ad accarezzare, stringere, pizzicare, accarezzare, stringere, pizzicare, accarezzare.Enrico sta affogando, ma non cerca di salvarsi, non vuole salvarsi, vuole solo affogare. Lascia che la camicia scivoli a terra, mentre le sue dita accarezzano la testa dell’uomo. Le dita hanno deciso di farlo, le dita, non lui, lui non è in grado di decidere niente, non sa nulla, non ricorda nulla. Perché è lì? Che cosa fa? Non gliene importa niente. Non gliene importa… La parola non gli viene. Servono parole. C’è quella testa, quei capelli tra le sue dita, quella barba che accarezza. Ci sono altre dita, che gli stanno slacciando i pantaloni, i pantaloni scendono a terra e le mani dell’uomo scendono lungo le gambe, le accarezzano, di lato, dietro, scendono, risalgono, si infilano sotto i boxer, salendo lungo le cosce, poi scendono ancora ed Enrico quasi si stupisce che l’uomo non lo abbia ancora spogliato, ma le dita dell’uomo avvolgono i suoi polpacci, le mani risalgono, le dita pizzicano, con forza, il suo…
– Hai un bel culo.
Ecco, la parola che gli mancava, sì, Enrico è contento di avere un culo, un bel culo. Sì, il culo. Sa che quella parola è una minaccia, ma la morte non lo spaventa. Vuole solo affogare, ora.
Le mani scendono, ma un dito è rimasto impigliato, trascina verso il basso ed Enrico, in un’ondata di nuovo ed imprevisto terrore, scopre di essere nudo davanti all’uomo inginocchiato ai suoi piedi.
– Hai anche un bel cazzo.
Se ci fosse ancora un po’ di terra dell’argine, ora salterebbe via, ma non c’è più terra, c’è solo un mare immenso ed Enrico è contento di avere un cazzo, un bel cazzo.
L’uomo gli sta slegando le scarpe e ora, con pochi movimenti, scarpe, calze, pantaloni e boxer finiscono lontano, lontanissimo, a un passo da dove stanno loro, irraggiungibili, inutili. Perché si è vestito, oggi? Mica servivano i vestiti oggi. Ha solo perso tempo. Oggi…
La bocca dell’uomo, la bocca dell’uomo. Che cosa sta facendo la bocca dell’uomo. Lo sta baciando, gli sta baciando la punta del… cazzo, sì, del cazzo.
Poi la bocca si apre e la lingua accarezza ed Enrico lancia un gemito e poi grida il suo amore:
– Sei un porco! Porco!
La bocca non molla la sua preda, neanche ora che, con la velocità di una molla a lungo compressa, l’uccello di Enrico si solleva per alzarsi in volo, in un attimo è teso, la cappella fiammeggiante ancora nella bocca, che succhia con avidità.
Qualche cosa esplode, qualche cosa che sale dal basso, da un punto non precisato, perché non ancora nominato, non conosce ancora la parola, perché l’uomo non gliel’ha ancora detta ed Enrico conosce solo le parole che l’uomo gli insegna, come un bambino che impara a parlare. Qualche cosa sale dal basso, sale sempre più forte e lo percorre, lo incendia, una scintilla di fuoco che diventa un rogo immenso, una diga che cede, un piacere come non ha mai sentito, come non pensava che potesse esistere, un’onda di piacere puro, tanto intenso da essere doloroso. Stringe forte la testa dell’uomo, la forza a rimanere attorno al suo cazzo, la forza, anche se l’uomo non sembra avere nessuna intenzione di ritirarla, anzi, accarezza, beve con avidità, inghiotte fino all’ultima goccia, con la lingua stimola ancora la punta del… come si chiama?, cazzo, sì, cazzo.
– Cazzo, che bello!
Gli è venuto alle labbra e non saprebbe spiegare. Il morigeratissimo Enrico Aliotti, che al liceo i compagni prendevano in giro, no, prendevano per il culo, adesso lo può pensare, perché ha un bel culo, no, non lo prendevano in giro perché ha un bel culo, lo prendevano in giro perché non diceva mai una parolaccia, non voleva nemmeno sentirle le parolacce, Enrico ha detto: – Cazzo, che bello!
– Cazzo, che bello!
È bello dirlo, è proprio bello ripeterlo. E lo direbbe ancora se le mani dell’uomo non lo trascinassero giù, costringendolo a inginocchiarsi davanti a lui, se la sua bocca non si trovasse davanti un’altra bocca e, prendendo un’iniziativa che l’Enrico Aliotti di un’ora fa non avrebbe osato, non dico pensare, ma nemmeno immaginarne la possibilità, la sua bocca, dicevamo, non si avventasse contro l’altra e la sua lingua, dimostrando uno spirito d’iniziativa irrefrenabile, dopo le parolacce non passasse all’esplorazione di un’altra bocca.Il bacio dura un’eternità, mentre le loro bocche sono unite e la lingua di Enrico accarezza ed esplora l’altra bocca, ma l’eternità gli sembra sia durata solo un attimo, quando le loro bocche si separano. Per fortuna è solo una pausa, perché le loro bocche si uniscono di nuovo ed Enrico finisce a terra, prima su un fianco, poi sulla schiena e su di lui preme il corpo dell’uomo.
È pesante, maledettamente pesante, meravigliosamente pesante, è splendido sentire quella massa che lo schiaccia, è splendido sentire quel bastone che preme sul suo ventre. Bastone? No, non è un bastone, è un cazzo, un meraviglioso, enorme cazzo ed Enrico prova una voglia irresistibile di sentire che gusto ha, ma non può muoversi e poi, perché dovrebbe muoversi, si sta così bene sotto cento chili di carne e di peli, con una lingua che ti percorre le labbra e poi incontra la tua e poi esce e va a spasso per la tua faccia, ti passa sugli occhi.
Che sta facendo? È pazzo? L’uomo gli passa la lingua sugli occhi, nelle orecchie, gli morde un lobo, poi l’altro. Enrico si dice che quell’uomo è pazzo, Enrico si dice che quell’uomo è un porco, lo sta leccando, lui, tutto sudato per la camminata. Enrico spera solo che quel porco pazzo non smetta, perché non c’è nulla di più bello di quella lingua che gli sta passando dietro l’orecchio, di quei denti che ora gli hanno morso la guancia (Ahi!!), di quella lingua che ora esplora il suo collo e poi…
Che cosa sta facendo? Che cazzo sta facendo?!
– Ahi!
Il morso al capezzolo gli ha strappato un gemito, che vuole soltanto dire: – Ancora! – Per fortuna l’uomo, il porco, ha capito e non interrompe il suo gioco di piccoli morsi, umide carezze, se non per succhiargli i capezzoli. Enrico si chiede: – Ma è pazzo? – Enrico grida: Sì, sì, sì! – Enrico non ha aperto bocca o forse ha aperto bocca, ma senza voce, solo perché il piacere che lo divora è troppo forte per stare tutto dentro, deve mandarne un po’ fuori, per poter accogliere l’altro che preme per entrare. Enrico non ha parlato, ma l’uomo, il porco, quel meraviglioso porco ha capito benissimo, perché ignora i suoi gemiti, continua a succhiare, titillare, mordere, stuzzicare, solleticare, vellicare e ora la lingua è all’ombelico ed è bella una carezza umida nell’ombelico. La lingua scende ancora, incontra il cazzo di Enrico, sì, quello è il cazzo, perfettamente teso, di nuovo, ma lo ignora, come si permette?, scende ancora accarezza. Che cosa accarezza?
– Hai dei bei coglioni.
Già, coglioni, sì, quelli sono i coglioni. Ahi! Ne ha preso uno in bocca, un po’ di dolore, davvero, ma lo lascia e la lingua continua il suo lavoro, le gambe, ora, piccoli morsi, solo la lingua li unisce ancora, l’uomo, il porco, è in ginocchio, le gambe appoggiate di fianco alle sue, ma non le tocca.
E di colpo il mondo si gira, no, non è il mondo che si è girato, è l’uomo, il porco, che lo ha girato, lui è a pancia in giù e di nuovo sente il peso, quel meraviglioso quintale che lo schiaccia al suolo ed il fiato caldo alla nuca e la lingua dietro l’orecchio ed il morso ad un lobo e la lingua sul collo e… quel bastone, no, non è un bastone, quel cazzo, quel meraviglioso e pauroso cazzo che preme sul suo culo.
Enrico avrebbe paura di affogare, ma è affogato da tempo. Enrico non desidera altro che quelle mani che… che fanno quelle mani? Lo accarezzano, ahi!, lo pizzicano, quell’uomo, il porco, gli pizzica il culo con le sue grandi dita. Il peso scompare ed Enrico ne soffre, gli spiace non sentire più quel contatto caldo, quella pressione che lo schiaccia al suolo, ma la lingua scava tra le cosce, la lingua, Dio mio, la lingua, quel porco è un porco, come si può passare la lingua lì dietro, Dio, la lingua ha raggiunto il buco e preme, Dio.
– Porco, porco, porco, porco, porcoooooooooo!
Enrico non ha neppure capito di essere venuto, Enrico non capisce più nulla, Enrico ha gridato e se c’è qualcuno in giro di certo l’ha sentito, ad Enrico non importa niente, ad Enrico non gliene frega niente, ad Enrico non gliene fotte un cazzo.
continua…
Un racconto di Ferdinando Neri